Damien Hirst: tutto quello che c’è da sapere sull’artista più quotato al mondo

Damien Hirst è l’artista vivente che vanta più “più” in tutto il mondo. È il più pagato, il più famoso, il più furbo, e sicuramente è il più emblematico esponente nel sistema dell’arte contemporanea.

Un’artista così iconico che spesso anche chi non ne conosce il nome, ne conosce  però le opere più celebri, come il grande squalo tigre, la mucca sezionata, o il teschio a grandezza naturale ricoperto di diamanti.

Inglese, classe 1965, Damien Hirst, rappresenta sotto molti aspetti il punto naturale di approdo dell’arte contemporanea dell’ultimo mezzo secolo. È stato in grado di condensare nelle sue creazioni correnti artistiche apparentemente opposte, strizzando l’occhio contemporaneamente ad Andy Warhol e Francis Bacon. Guardando con naturalezza all’espressionismo e al minimalismo senza disdegnare qualche incursione nel concettuale.

Alle origini di Damien Hirst

La storia inizia nel 1989, con una grande teca di vetro rettangolare divisa in due ambienti comunicanti tra loro. Da un lato un cubo bianco che nasconde delle larve di mosche. Dall’altro una testa di mucca che, tramite il proprio sangue nutre le mosche appena nate. Se questo non bastasse a far arricciare il naso anche ai meno scettici, le mosche sono destinate presto a morire, attratte in una lampada antizanzare posta appena sopra.

Damien Hirst, A Thousand Years, 1989
Damien Hirst, A Thousand Years, 1989

Si tratta di A Thousand Years (Mille anni): la rappresentazione di un ciclo vitale chiuso che mette in scena, in rapida successione, la nascita, la vita e la morte. Hirst mette in scena il dramma dell’esistenza e della sua inevitabile fine e impone con prepotenza il tema della nascita, della vita e della morte, quali necessari protagonisti dell’arte.

Attraverso l’opera si vuole portare lo spettatore a contemplare ciò che generalmente non ha il coraggio di guardare. Hirst attribuisce all’artista il compito di farci fare i conti con aspetti scomodi e inevitabili della realtà, come la brevità della vita e la morte.

Non solo una semplice teca

La teca, che racchiude molte delle opere più emblematiche dell’artista, non è solo un modo per concentrare la tensione in uno spazio, ma è anche un tributo alle geometrie usate da Francis Bacon per i propri dipinti.

Allo stesso tempo l’utilizzo della teca è lo strumento arrivare ad una pulizia formale che Damien Hirst trae dal minimalismo. Uno stratagemma per rappresentare in modo moderno contenuti  forti senza cadere nello splatter o nello sciatto e aprendosi la strada alle case bene dei collezionisti di tutto il mondo, proprio grazie a questi elementi astratti fatti di linee e spazi geometrici.

In questo modo lo spazio viene delimitato da una sorta di contenitore e allo stesso tempo stressato con elementi carichi di significato, capaci di travalicarlo, senza distruggerlo.

Hirts e lo squalo da 12 milioni di dollari

Il 1991 è l’anno del successo planetario di Hirst, il momento in cui vide la luce il suo celebre squalo: The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living (L’impossibilità fisica dell’idea di morte nella mente di colui che vive).

L’opera è in realtà il risultato della strategia di un pubblicitario di grande successo, Charles Saatchi, che intuì come l’arte contemporanea potesse avere un futuro economicamente molto redditizio e trovò nell’artista inglese il suo uomo.

Saatchi consegna al 25enne Damien Hirts 50mila sterline con il preciso scopo di realizzare l’opera più sensazionale che riesca ad immaginare. Hirst si procura da un pescatore australiano uno squalo tigre di oltre tre metri e lo colloca in una delle sue teche colma di formaldeide.

The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living Damien Hirst
Damien Hirst, The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, 1991

Lo squalo è letteralmente sospeso nel liquido trasparente. L’immagine che si pone davanti allo spettatore e di morte e terrore ma, contemporaneamente, anche di maestà della natura. C’è un’enorme squalo con le fauci spalancate che galleggia immobile difronte a noi, intrappolato in eterno ma vivo e capace di terrorizzare per sempre.

L’opera diventa il simbolo di una generazione e degli Young British Artists (YBAs), una fortunata etichetta che consacra Londra come centro propulsore di un sistema artistico che regge il mercato dell’arte contemporanea in tutto il mondo.

Tutta una questione di prospettiva

Ciò che affascina l’artista non è la morte in quanto tale ma lo splendore della vita, della natura, della biologia e il punto in cui questa bellezza oggettiva deve fare i conti con la sua fine.

L’artista è estasiato dalla bellezza della natura e il modo con cui ce la presenta è solo apparentemente orrorifico. Realizza delle sculture anatomiche che mostrano entrambi i lati della medaglia. Ci fa vedere il corpo per metà coperto dalla pelle e per metà lascia scoperti muscoli, ossa e organi interni. Niente di più che un modellino anatomico umano riprodotto in bronzo alto sei metri.

Nasce così, tra il 1999 e il 2000, Hymn una celebrazione della straordinarietà del corpo umano. Dove la corporeità diviene così elemento fondamentale, che viene reso concreato e idealizzato dalle grandi dimensioni e dai colori lucidi e accesi.

Hymn Damien Hirts
Damien Hirts, Hymn, 1999

Una fisicità che Hirst estrapola anche da esseri viventi che normalmente non concepiamo come corporei, perché celesti, come un angelo (The anatomy of an angel, 2008) o perché mitologici, come l’unicorno (Myth, 2010).

Le farfalle di Damien Hirst

Alcune delle opere più stupefacenti di Damien Hirts sono delle grandi vetrate o rosoni interamente realizzati, tra il 2006 e il 2008, con splendide farfalle multicolore messe sotto vetro.

Ad un primo sguardo si tratta indubbiamente di magnifiche composizioni ispirate alla tradizione cristiana delle vetrate nelle chiese. Ma come tutte le opere di Hirst hanno un carattere fortemente ambivalente. Lo stupore ed entusiasmo iniziale di fronte a tale magnificenza di forme e colori sfavillanti lascia, prima o poi, lo spazio alla consapevolezza che a permettere tale spettacolo è una strage di bellissimi cadaveri.

Se però si legge la stessa opera in senso inverso, partendo  cioè dall’orrore, allora ci si trova di fronte all’immagine di una bellezza che vince la morte, di una bellezza resa eterna ben al di là dell’effimera vita di una farfalla, di una bellezza resa eterna dalla morte dell’effimero.

Damien Hirts Butterfly
Damien Hirts, Doorways to the Kingdom of Heaven,
2007

Da dove veniamo? Chi siamo? Dove stiamo andando?

“Sono queste le grandi questioni dell’arte che molti artisti si pongono e alle quali cercano di dare una parvenza di risposta” dice Hirst.

In effetti l’opera di Hirst ha un forte carattere provocatorio, ma la provocazione non è mai fine a se stessa. L’artista cerca di mettere le persone faccia a faccia con le questioni fondamentali della propria vita.

E stare di fronte a queste domande porta Hirst ad amare ancora di più la vita e il suo lavoro “Ma alla fine della giornata, anche l’arte non può che dire: Non è grande la vita?!. Questo è il massimo che si possa ottenere dall’arte”.

Il personaggio “Damien Hirts”

Molte sono state le trovare clamorose che hanno segnato la carriera di Damien Hirst e che in un certo senso hanno contribuito alla nascita del suo personaggio.

Nel 2008, ad esempio, durante la performance intitolata Beautiful Inside My Head Forever (Bellezza nella mia testa per sempre), ha scavalcato i suoi galleristi vendendo in prima persona all’asta da Sotheby’s a New York 223 opere,  incassando oltre 200 milioni di dollari. Il tutto esattamente negli stessi giorni in cui fallivano le banche americane.

Non vai dimenticato che Hirst vanta uno dei primati più eccezionali del mondo, è infatti l’artista che ha creato l’opera d’arte contemporanea con i più grandi costi di realizzazione del mondo.

For the Love of God Damien Hirst
Damien Hirts, For the Love of God, 2007

For the Love of God (Per l’amor di Dio, 2007), un teschio di platino con denti veri, coperto da 8.601 diamanti purissimi e un enorme diamante rosa a goccia posizionato sulla fronte, per un totale di 1.106,18 carati. Riducendo così al minimo la differenza tra il valore d’uso e quello di scambio e denunciano il feticismo che si dell’opera nel mercato dell’arte odierno.

Si tratta ovviamente di due prove di forza che vogliono denunciare, mentre lo si sta ancora cavalcando da protagonisti, l’assurdità di un sistema necessariamente effimero che però smuove milioni di dollari.

Non sarebbe un essere umano se fosse tutto così ossessivamente perfetto. Ebbene pare che Damien Hirst non sappia dipingere. Nonostante abbia prodotto qualche opera pittorica, come ad esempio When You’re Smiling (Quando stai sorridendo, 1995) sembra decisamente che se la cavi meglio senza colori e pennello tra le mani.

…ma in fondo nessuno e perfetto.

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Tommaso Pergolizzi
Tommaso Pergolizzi
Laureato in Arti, Patrimoni e Mercati all'Università IULM di Milano. Gallery Assistant presso Dep Art Gallery a Milano e curatore della sezione Arte di Lifestar.it