Jeff Koons: il genio pop in bilico tra arte e kitsch

Metà artista e metà lupo di Wall Street, Jeff Koons è considerato una sorta il Re Mida dell’arte contemporanea: tutto ciò che tocca, o nel suo caso crea, si trasforma in oro.

Ma a cosa è dovuto veramente questo enorme successo? È questa la domanda che inevitabilmente ci si pone di fronte alle sue opere, una sfilata di riproduzioni scultoree ammiccanti e colorate, maniacalmente realistiche, totalmente superficiali e perfette per scattarsi un selfie.

Jeff Koons opere
Jeff Koons, Michael Jackson and bubbles, 1998

Spesso si sente dire che il merito o la colpa, a seconda delle inclinazioni personali, di questa deriva dell’arte sia da attribuire al genio di Marchel Duchamp. Un artista che ha lavorato sul concetto di riproduzione e apoteosi dell’oggetto rivoluzionando l’intero universo dell’arte.

Dietro il lavoro di Duchamp si nasconde però un pensiero: il paradigma della riproducibilità che ribalta i meccanismi della rappresentazione, lo svelamento dell’apparato museale e “l’apertura dello spazio dell’opera ad operazioni mentali e concettuali. Le opere di Jeff Koons sono, al contrario, totale apparenza. Edonismo sfacciato, mascherato da apparato concettuale.

Jeff Koons: l’artista/uomo d’affari

Nato nel 1955 a York, figlio di mercanti della Pennsylvania, Jeff Koons ha fin dall’infanzia un amore innato l’arte e le si avvicina come responsabile relazioni sostenitori e partnership del MOMA di New York. La sua abilità professionale farà poi raddoppiare i finanziatori del museo.

Il suo successo con le cifre lo spinge quindi verso il mondo della  finanza, a Wall Street, ma la sua grande passione riprende il sopravvento. L’arte, a detta dello stesso artista, non deve essere solo uno strumento finanziario. Abbandona quindi definitamente la finanza e inizia ad esporre. Il successo, neanche a dirlo, è immediato per un uomo già così ben inserito e i principali galleristi dell’epoca lo sostengono spedendo le sue quotazioni alle stelle.

Jeff Koons opere
Jeff Koons, serie Pre New, 1979

Oggi Jeff Koons è un uomo sposato e un padre di famiglia sempre impeccabilmente vestito. Ben lontano dall’immagine degli artisti bohémien che ispira tanto romanticismo, sembra più un broker o un istruttore di palestra che un uomo in contemplazione del divino Apollo. Una bella intervista di Le Monde lo immortala addirittura come icona vivente del capitalismo occidentale.

Dall’apologia del banale all’edonismo dell’oggetto: una carriera in discesa

Dai suoi esordi, alla fine degli anni 70, la sua strada è sempre stata in discesa. Auto-dichiaratosi erede della pop-art americana, Jeff Koons si è appropriato dei concetti di consumismo di massa e cultura popolare per fabbricare il proprio perimetro artistico.

Ripercorrendo tutti i cicli del lavoro dell’artista non si può fare a meno di cogliere una, anche troppo velata, mania citazionsita. Koons infatti si concentra spesso sulla riproduzione di pensieri artistici di altri.

La si ritrova nella serie Inflatables Flowers (1979), ispirata al vocabolario plastico di Robert Smithson, o in quella The Pre-new (1979), in cui ritroviamo i tubi fluorescenti di Dan Davin. E ancora sulla traduzione in sculture di oggetti della cultura popolare o di disegni da lui stesso creati, come per la nota collezione Celebration.

Jeff Koons
Jeff Koons, Ballon Dog

Materiali e forme restano il cuore di una trasposizione formale che coniuga la leggerezza dei palloncini gonfi di sogni infantili alla fredda plasticità dell’acciaio. Jeff Koons con i suoi puppy e ballon dog ha fatto sua la potenza comunicativa del messaggio di Duchamp.

Un oggetto puramente decorativo, che assottiglia lo scarto tra arte e non arte

Amplificando all’ennesima potenza il sottilissimo scarto che può sussistere fra arte e non arte e, privandolo di ogni riflessione, giocando su una semplice variazione di materiale, l’ha tradotto in réclame popolare.

Ludicità, colore, forme curve e accoglienti, le sue opere sono  concepite come giocattoli perfetti, elogi della banalità assoluta che iscrivono l’arte ad un ruolo meramente decorativo. Le superfici riflesse troneggiano ovunque, a ribadire la vacuità di un immagine che torna indietro a se stessa, priva di rivelazione.

Jeff Koons
Jeff Koons, serie Made in Heaven, 1990

Un’esaltazione edonistica della pura forma che ricorda le prime produzioni di Koons. Come la serie Made in Heaven (1989-1991) che raccoglie le foto erotiche di Jeff Koons con l’allora moglie Cicciolina, al secolo Ilona Staller, in cui domina la scena ostentando posture virili, gioioso e tronfio come un modello che tappezza di sue foto la camera da letto.

Esibizionismo mascherato e nascosto delle ultime opere di Koons

Oggi queste opere sono spesso relegate in un angolo delle esposizioni monografiche dell’artista, quasi nascoste. Koons è diventato infatti l’intrattenitore spensierato, moderno e coscienzioso che diverte grandi e piccini e trasforma la sala di un museo in un parco giochi.

Eppure il suo spirito non ha mutato interessi: le curve gonfie e impeccabili di Hangin Heart ci ricordano il décolleté di una pornostar e ci parlano di un godimento allegro e disinteressato, di una energia da mettere in mostra e glorificare nel suo puro essere.

Jeff Koons
Jeff Koons, Hangin Heart

È lo stesso esibizionismo del Koons delle origini che troviamo però mascherato nelle sue ultime riproduzioni, imitazioni inimitabili, compiutamente vacue, fini a se stesse.

Ma si sa, un grande artista non delude mai e allora in una delle sue ultime produzioni, Gazing Ball (2013), Koons sembra finalmente uscire dalla paralisi esibizionista per raccontarci un dialogo tra passato e modernità.

Ma ancora una volta, lo scarto è esile. Una sfera blu cobalto cerca disperate di rimanere in equilibro su riproduzione di statue antiche.  A metà strada tra le sculture realizzate per adornare i parchi delle grandi ville antiche e una riflessione sulla precarietà della contemporaneità.

Jeff Koons
Jeff Koons, Gazing Ball, 2013

L’ultima fatica di Koons

Dalla grande attenzione di Koons per i capolavori dell’arte è nata invece la sua ultima fatica: una collezione per Vuitton, che cita le icone della storia dell’arte di LeonardoRubens, van Gogh e Tiziano.

Angoli di tela stampati a tutto campo, a contrasto con i dettagli colorati delle borse con i nomi degli autori applicati al centro: veri e propri brand, realizzati a caratteri cubitali in lucido metallo dorato

In quale nuova avventura si tufferà Koons nel prossimo futuro resta un mistero, ma sicuramente non ci lascerà indifferenti.

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Tommaso Pergolizzi
Tommaso Pergolizzi
Laureato in Arti, Patrimoni e Mercati all'Università IULM di Milano. Gallery Assistant presso Dep Art Gallery a Milano e curatore della sezione Arte di Lifestar.it