La galleria Dep Art di Milano ospita la mostra Alighiero Boetti. Il mondo fantastico dal 28 febbraio al 28 aprile 2018. Una trentina di opere su carta concepite a partire dal 1965, annoverabili fra quelle descrivibili come di “mano propria”, cioè non realizzate con la collaborazione o interamente da altri, e una grande installazione del 1979 ad oggi mai riproposta.
I lavori presentati evidenziano come per Alighiero Boetti segnare e disegnare equivalesse a tracciare una sorta di mappatura di un mondo immaginario, reso grazie alle cifre stilistiche più diverse, spesso con un accenno classificatorio di modalità e soggetti, che si ripetono e si fondono, confondendosi, moltiplicandosi, aggregandosi.
Tasselli di qualcosa di sempre più ampio, o moltiplicabile, le carte di Alighiero Boetti hanno a che fare spesso con la scrittura, il riporto, il collage o il ricalco, ma altrettanto spesso hanno a che fare con la pittura. I lavori in mostra non sono infatti progetti né disegni preparatori ma si presentano come dipinti a tutti gli effetti, strutturati, costruiti e definiti, in grado di svelare uno degli aspetti meno noti del procedere dell’artista che è stato anche un grandissimo pittore.
Alighiero Boetti. Il mondo fantastico
L’esposizione si apre con una china del 1965, del primissimo periodo creativo, e prosegue con un approfondimento dedicato a una delle grandi tematiche care a Boetti, meno conosciuta rispetto ad altri cicli: la natura rivisitata ed il regno animale occupano, infatti, buona parte dell’attenzione dell’artista a partire dalla fine degli anni Settanta, differenziando fortemente la sua produzione degli anni Ottanta, sino a caratterizzarne il periodo. Scimmie, pantere, delfini, rane, stambecchi, tartarughe e altre creature parte del mondo animale diventano in Boetti, e grazie a lui tornano ad esserlo, elementi decorativi ripetibili all’infinito e, come i numeri, combinabili senza limitazioni.
Su questa stessa tematica è incentrata l’importante installazione Zoo del 1979, messa a punto da Alighiero Boetti con i figli Agata e Matteo e allestita unicamente nello studio di Roma. Spesso pubblicata ma mai riproposta sino a oggi, all’epoca documentata dalle fotografie di Giorgio Colombo, l’installazione, una sorta di assemblea di animali che vide i tre dedicarsi alla sua costruzione per alcuni mesi, è riproposta adattandola allo spazio della galleria.
Un tappeto afgano sul quale sedersi e osservare gli animaletti dall’alto, spostando inevitabilmente il punto di vista sull’opera e sul ruolo dello spettatore invitato al suo completamento. L’istallazione utilizza gli stessi soggetti in plastica adoperati da Alighiero Boetti e dai suoi figli, oggetti disposti secondo la classica concezione boettiana del raggruppamento per genere, teso anche alla definizione dell’area geografica di appartenenza.
Altra sezione della mostra è quella dedicata a soggetti insoliti o particolarmente rari, di frequente in bianco e nero, o comunque non colorati, disegnati con grafite, inchiostro di china, acquarello o penna a biro, accomunati per di più dal supporto cartaceo, come ad esempio Lampada, del 1965, riconducibile al periodo torinese.