In occasione del novantesimo anniversario dalla nascita del genio della Pop Art internazionale, il 3 ottobre apre i battenti a Roma, negli spazi del Complesso del Vittoriano – Ala Brasini, un’esposizione interamente dedicata al mito di Andy Warhol.
Andy Warhol: il più prolifico e noto artista nella storia dell’arte contemporanea. Icona dalla vita straordinaria e tra i più grandi rivoluzionari del linguaggio artistico e culturale occidentale
La mostra parte dalle origini artistiche della Pop Art: quando nel 1962 l’artista di Pittsburgh inizia a usare la serigrafia e crea la serie Campbell’s Soup, minestre in scatola che Warhol prende dagli scaffali dei supermercati per consegnarli all’Olimpo dell’arte. Seguono poi le serie su Elvis, su Marilyn, sulla Coca-Cola.
A colpire Warhol sono quegli oggetti che abbattono il divario tra ricchi e poveri: una Coca-Cola se la può permettere chiunque e, per quanto sia enorme il potere d’acquisto di un milionario, la sua Coca-Cola non sarà più buona di quella di chiunque altro. È in questi stessi anni che comincia a dire che ognuno ha diritto a 15 minuti di celebrità, quella celebrità da cui è ossessionato da sempre e di cui nel percorso espositivo non mancano le testimonianze.
Andy Warhol diventa il centro catalizzatore della cultura newyorchese, frequenta i locali più ambiti del momento, come lo Studio 54 o il Max’s Kansas City. Nel ‘63 si trasferisce a lavorare in uno stabile sulla quarantasettesima est, etichettato in breve tempo “Silver Factory”, la fabbrica d’argento, per l’aspetto che Billy Name, fotografo e grande amico di Warhol , riuscì a darne riempiendo i muri di carta stagnola.
Nel 1969 fonda Interview, un magazine interamente dedicato alle celebrità, forse l’unica vera, grande fissazione di Warhol. Nella metà degli anni ’70 dipinge incessantemente ritratti, usando come base le polaroid scattate dai tanti personaggi che continuano a popolare la Factory: Liz Taylor, Sylvester Stallone, John Wayne, Liza Minnelli, Valentino, Armani, Caroline di Monaco e Michael Jackson.
Sono gli anni ’70 e ’80 a incoronarlo come il più prolifico e noto artista vivente, un’icona dalla vita straordinaria, tra i più grandi rivoluzionari, del linguaggio artistico e culturale, di tutti i tempi. Nel pieno della fama e della popolarità, il 22 febbraio del 1987 Andy Warhol muore sotto i ferri di una semplicissima operazione alla cistifellea, lasciando il mondo orfano di un personaggio che, come pochi altri, ha cambiato il corso della storia.
170 opere che si intrecciano con la vita privata e la carriera artistica di Andy Warhol
A Roma fino al 2 febbraio 2019 l’esposizione, con le sue oltre 170 opere, riassume l’incredibile vita di un personaggio che ha cambiato per sempre i connotati non solo del mondo dell’arte ma anche della musica, del cinema e della moda, tracciando un percorso nuovo e originale che ha stravolto in maniera radicale qualunque definizione estetica precedente.
Dalle principali icone che hanno condizionato il divenire dell’artista, come la celebre Campbell’s Soup del 1969 e Ladies and Gentleman (1975) ai i ritratti di grandi personaggi, alcuni dei quali mai incontrati, che da figure storiche ha trasformato in icone pop, come Marilyn (1967), Mao (1972) e gli stessi Self portrait.
Dai legami con la moda con i ritratti di Valentino (1973), Giorgio Armani (1981) e Regina Schrecker (1983) ai rapporti con il mondo musicale, partendo dai ritratti di Mick Jagger (1977), Rats and Star (1983), Miguel Bosè (1983), Billy Squier (1982) sino alle copertine dei dischi, alcune con intuizioni figurative di intramontabile successo come la celebre “banana sbucciabile” di The Velvet Underground & Nico del 1967 e i mitici “jeans incernierati” di Stick Fingers dei Rolling Stones del 1971.
Sono inoltre presenti in mostra le preziose polaroid dell’epoca che rappresentano anche il punto di partenza per la realizzazione dei ritratti serigrafici e i celebri self portrait e un omaggio al mondo cinematografico celebrato in mostra attraverso i ritratti di Liz Taylor(1964), Judy Garland (1985), Silvester Stallone (1980) e Arnold Schwarzenegger (1977).