Numeri, neon, ferro, vetro, pietre, foglie, rami, materiali naturali e industriali, organici e inorganici, Pirelli HangarBicocca omaggia Mario Merz con una mostra che riunisce il corpus delle opere più iconiche dell’artista torinese gli igloo, datati tra il 1968 e il 2003, anno della sua scomparsa.
Dal 24 ottobre al 24 febbraio Igloos, questo il titolo del progetto espositivo curato da Vicente Todolí e realizzato in collaborazione con la Fondazione Merz, si snoda nei 5.500 metri quadrati delle Navate e del Cubo di Pirelli HangarBicocca e pone il visitatore al centro di una costellazione di oltre trenta opere di grandi dimensioni a forma di igloo, un paesaggio inedito dal forte impatto visivo.
A cinquant’anni dalla creazione del primo igloo, la mostra offre l’occasione per osservare lavori di Mario Merz di importanza storica e dalla portata innovativa, provenienti da numerose collezioni private e museali internazionali raccolti ed esposti insieme per la prima volta in Italia.
Mario Merz, Igloos. Un villaggio, un paese, una ‘Città irreale’ nello spazio espositivo
Punto di partenza della mostra l’esposizione personale di Mario Merz curata da Harald Szeemann nel 1985 alla Kunsthaus di Zurigo durante la quale vennero presentate tutte le tipologie di igloo realizzate fino a quel momento “al fine di formare un villaggio, un paese, una ‘Città irreale’ nello spazio espositivo”, come afferma va lo stesso Szeemann.
Il progetto di Milano prosegue l’intento di Szeemann e Merz, includendo anche opere concepite nei decenni successivi, come La Gocciad’Acqua, 1987, il più grande igloo mai realizzato da Merz per uno spazio interno, di dodici metri di diametro, presentato in occasione della sua personale al CAPC musée d’art contemporain de Bordeaux.
La mostra si sviluppa in nuclei che seguono un ordine cronologico, partendo dai primi igloo concepiti negli anni ‘60 come, Igloo di Giap, 1968 e Acqua scivola, 1969. Quelli degli anni ‘70: tra gli altri, sono presenti Igloo di Marisa, 1972 e ‘If the hoar frost grip thy tent Thou wilt give thanks when night is spent’(Ezra Pound), 1978.
Le evoluzioni degli anni ‘80, periodo in cui gli igloo divengono più complessi, si raddoppiano, si triplicano o si intersecano, sono testimoniate da Igloo del Palacio de las Alhajas, 1982 e Chiaro Oscuro, 1983. Rappresentativo degli anni ‘90 è Senza titolo, 1999, realizzato per il parco del museo, in occasione della mostra personale alla Fundação de Serralves, curata proprio da Vicente Todolí.
Materiali naturali e industriali, uso poetico ed evocativo della parola scritta e dialogo tra spazio circostante e architettura
La poetica di Mario Merz si sviluppa a Torino fin dagli anni ‘50, figura chiave dell’Arte Povera, è uno dei primissimi in Italia a utilizzare l’installazione. Supera la bidimensionalità del quadro, inserendo tubi al neon nelle sue tele e in oggetti quotidiani come ombrelli e bicchieri.
Attraverso il suo lavoro indaga e rappresenta i processi di trasformazione della natura e della vita umana, utilizzando elementi provenienti dall’ambito scientifico-matematico, come la spirale e la sequenza numerica di Fibonacci, e introducendo a partire dal 1968 quello che rimarrà unodei motivi ricorrenti e più rappresentativi della sua pratica per oltre trent’anni: l’igloo.
Queste opere, riconducibili visivamente alle primordiali abitazioni, diventano per l’artista l’archetipo dei luoghi abitati e del mondo e la metafora delle diverse relazioni tra interno ed esterno, tra spazio fisico e spazio concettuale, tra individualità e collettività. Gli igloo sono caratterizzati da una struttura metallica rivestita da una grande varietà di materiali di uso comune, come argilla, vetro, pietre, iuta e acciaio – spesso appoggiati o incastrati tra loro in modo instabile – e dall’uso di elementi e scritte al neon.
La delicata precarietà di queste installazioni assume una forte valenza simbolica, talvolta politica, aprendo a una riflessione dell’artista sulla vita contemporanea, come afferma Merz stesso: “l’igloo è una casa, una casa provvisoria. Siccome io considero che in fondo oggi noi viviamo in un’epoca molto provvisoria, il senso del provvisorio per me ha coinciso con questo nome: igloo”