L’arte “selvaggia e primitiva” di Klee al MUDEC

Dal 31 ottobre al 3 marzo, la mostra Paul Klee. Alle origini dell’arte, ospitata presso il MUDEC – Museo delle Culture –  di Milano, porta nella città meneghina un’ampia selezione di opere di Klee incentrate sul tema del primitivismo.

Un’originale revisione di questo argomento che in Klee include sia epoche preclassiche dell’arte occidentale (come l’Egitto faraonico), sia epoche sino ad allora considerate “barbariche” o di decadenza, come l’arte tardo-antica, quella paleocristiana e copta, l’Alto Medioevo; sia infine l’arte africana, oceanica e amerindiana.

Paul Klee. Alle origini dell’arte: l’ultimo nato, erede tardivo di un’illustre civiltà giunta al tramonto

Il concetto di primitivismo in Klee assume connotazioni diverse rispetto a quelle comunemente utilizzate a proposito delle avanguardie storiche. L’interesse per tutto quanto, in arte, è selvaggio e primitivo si desta in Klee in coincidenza con il suo primo viaggio in Italia e la scoperta dell’arte paleocristiana a Roma, tra l’autunno del 1901 e la primavera del 1902.

In seguito al viaggio in Italia Klee si considererà un “epigono”: vale a dire ultimo nato, erede tardivo di un’illustre civiltà giunta al tramonto. E questa conclusione non lo abbandonerà mai in seguito, spingendolo a trasformare, come lui stesso racconta nei Diari, la delusione in stile.

Nasce da qui, da un’esperienza in parte dolorosa al cospetto dell’Antico, la propensione di Klee alla beffa e al pastiche. L’artista cerca in opere d’arte primitive e in repertori desueti quell’arte della deformazione, o “satira in Grande Stile”, che gli permette di infrangere il gusto monumentale e anticheggiante entro cui si era formato a Monaco di Baviera.

Paul Klee mostra Milano MUDEC
Paul Klee, Paesaggio con uccelli gialli, 1923

Il quadro si trasforma in una sorta di pagina di diario metafisica, si legge a vari livelli

Klee è convinto che occorra oltrepassare le iconografie tradizionali e, a partire dal 1912-1913, dissemina le proprie immagini di ideogrammi, rune o elementi alfabetici di invenzione. Si sforza di rinviare l’osservatore al processo che sta dietro l’immagine; di sollecitare in lui domande attorno al senso di ciò che vede; di indurlo a leggere e decifrare con attenzione. Guarda all’arte bizantina, all’arte celtica, ovviamente all’illustrazione primo-rinascimentale tedesca per trovare precedenti di un’arte (per lo più sacra) intimamente congiunta alla parola e alla “rivelazione”.

In seguito, negli anni Venti e Trenta, il suo interesse per l’epigrafia si nutre di riferimenti agli antichi alfabeti cuneiformi medio-orientali e alla geroglifica egizia. È durante gli ultimi anni della Grande Guerra che Klee vive una sorta di conversione, che lo porta a privilegiare temi cosmici e a distaccarsi dalle attitudini parodistiche mostrate in precedenza.

Klee, in questa fase, immagina di abitare presso il cuore della Creazione, vicino alla mente di Dio, e l’arte diventa archetipo, formula di tutte le cose esistenti. I suoi modelli, validi ancora negli anni Venti e Trenta, sono l’illustrazione tedesca tardo-medievale, le miniature celtiche o mozarabiche o l’arte del tempo della migrazione dei popoli.

Il quadro si trasforma in una sorta di pagina di diario metafisica: l’opera non si osserva più o meno fuggevolmente, ma si legge a vari livelli, come una sorta di partitura musicale. L’artista concepisce l’arte in modo nuovo, mistico appunto, in un rapporto indissolubile tra pittura e musica, immagini e parole.

Leggi anche: A Palazzo Morando la mostra Milano e il Cinema