Le fotografie ritoccate di Mario Schifano a Roma

La galleria Doozo ospita, dal 28 novembre al 25 febbraio,la mostra Mario Schifano. Fotografie, una selezione di fotografie ritoccate a mano dall’artista, tratte da un corpus che ne conta diverse migliaia.

Schifano, con consuetudine pressoché giornaliera, quasi un lungo esercizio di rilettura della cronaca quotidiana praticato dalla fine degli anni ’80 nell’arco di dieci anni, ha eseguito decine di scatti fotografici, catturando, dai televisori sempre accesi di cui si circondava, un’ampia serie di immagini dai soggetti e contorni diversi. Nei giorni successivi, quasi in una sorta di scrittura automatica, ne ha evidenziato i contenuti e le valenze per lui più interessanti, enfatizzando così tutto ciò che già in precedenza aveva messo a fuoco tramite la fotografia.

Mario Schifano. Fotografie: un dialogo tra l’immagine fotografica e il segno grafico, tra l’automatismo del mezzo meccanico e la frenesia del gesto manuale, tra l’eterogeneità dispersiva degli scatti e la sintesi cui li riconduce il colore

In qualità di fotografo, Mario Schifano ha avuto occasione di registrare, all’istante, qualsiasi stimolo catturasse la sua attenzione, attingendo a piene mani sia dal mondo reale sia dal mondo mediatico. I suoi scatti immortalano persone, oggetti, ambienti (o loro frammenti) incontrati talvolta dal vivo, ma soprattutto sullo schermo, fagocitati dall’obiettivo, con un gesto iterato alacremente, a ritmo quasi compulsivo.

Così il fotografo, non diversamente da un reporter, tanto che Achille Bonito Oliva lo ha definito, inviato speciale nella realtà, ha accumulato note, spunti, appunti, un campionario iconografico sul quale, successivamente, interveniva in qualità di pittore. Inizia qui il dialogo tra l’immagine fotografica e il segno grafico, tra l’automatismo del mezzo meccanico e la frenesia del gesto manuale, tra l’eterogeneità dispersiva degli scatti e la sintesi cui li riconduce il colore.

Un lavoro che è stato definito il “luogo genetico e concettuale in cui provava a sperimentare incessantemente segni e colori, accostando e deformando figure e passaggi”. Ma a ben guardare è anche il luogo delle sue correzioni: una raccolta di immagini che non solo fornisce all’artista ispirazione e materia prima per le successive rielaborazioni, ma sul quale la sua mano tenta ostinatamente di imporre il dominio ultimo, l’ultima parola.

Leggi anche: L’uomo e la Citta, la “Metafisica 2.0” di Mario D’Amico