Le nature morte di Luciano Ventrone a Milano

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Dal 31 gennaio al 10 marzo la Fondazione Stelline ospita, a Milano, la mostra Il limite del vero. Dall’astrattismo all’astrazione, una retrospettiva dedicata a Luciano Ventrone, l’artista che lo storico dell’arte Federico Zeri ha definito “il Caravaggio del ventesimo secolo”.

Forma, luce, colore: il realismo astratto di Luciano Ventrone

Dagli esordi come pittore figurativo classico alle sperimentazioni geometriche, passando per l’informale e l’arte programmata, la mostra raccoglie 30 opere, molte delle quali esposte al pubblico per la prima volta, che attraversano la lunga carriera di Luciano Ventrone, che comincia a dipingere giovanissimo, nei primi Anni 60, assolvendo a una sorta di precoce vocazione.

Il suo è un apprendistato lungo e pieno di divagazioni, sull’onda delle varie correnti della pittura italiana e nelle temperie del secondo Dopoguerra, che gli consente infine di approdare con sempre maggior forza a uno stile personalissimo,  definito come il realismo astratto ventroniano in cui le basi della pittura (forma, luce, colore) sono messe al servizio di una concezione filosofica platonica tesa a svelare il mondo delle idee prime.

Dagli Anni 90 le nature morte non sono più, e soltanto, la rappresentazione del reale, uno sforzo mimetico pur degno di lode, ma semmai il tentativo riuscito di andare oltre la realtà, come spiega Angelo Crespi, curatore della mostra, e sperimentare il limite del vero, cioè quella sottile linea che ci distanzia dalla conoscenza effettiva, allontanandosi dagli oggetti reali e approssimandosi per quanto possibile all’astrazione delle cose.

Una pittura che non inganna l’occhio, ma la mente

Ventrone, che si definisce un astrattista alle prese con la realtà, un metafisico costretto a misurarsi con la caducità della natura, non è solo uno dei massimi e più conosciuti pittori di figura a livello internazionale, ma prima di tutto è uno scienziato della pittura e, fin dalle rappresentazioni negli Anni 60 delle cellule ingrandite al microscopio, opere messe poi a disposizione di testi di neurologia, ha affinato la propria antica tecnica pittorica fatta di pazienti velature a olio, confrontandola con le più avanzate tecnologie che oggi ci permettono di guardare e vedere “più” oltre il reale.

Da qui nasce lo stupore, di una pittura che non inganna l’occhio, ma la mente, e costringe a un corto circuito per ridare senso a ciò che nella realtà non esiste, frutta, verdura, fiori che non sono mai così perfetti, mai così illuminati, mai così sul punto di essere veri.

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