Artista, attore, regista, produttore, sceneggiatore… rivoluzionario e anticonformista Andy Warhol è una delle figure più affascinanti ed eccentriche del Novecento.
Riconosciuto unanimemente come il massimo esponente della Pop Art, Warhol, con sguardo dissacrante, ha impresso nei suoi lavori tutte le sfumature e le contraddizioni della società americana. Vizi e virtù di cui lo stesso artista era “portatore sano” e che hanno certamente contribuito ad alimentarne il mito e la leggenda.
Con le sue serigrafie, le installazioni, i cortometraggi e le foto Warhol ha rappresentato il sogno americano per tre decenni. Dai primissimi anni ’60 al 1987, anno della morte, è stato in grado di muoversi agilmente tra il divismo delle riviste patinate e i brutali fatti di cronaca, passando per la politica e gli oggetti di consumo.
Popular Art, la risposta artistica alla società consumistica
La Pop Art (Popular Art, nella versione estesa) è un movimento artistico che si sviluppa tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti nel secondo dopoguerra. I principali esponenti sono Roy Lichtenstein, Claes Oldenburg, Richard Hamilton, Robert Rauschenberg, Jasper Johns e ovviamente Andy Warhol.
La corrente nasce in risposta allo sviluppo della società consumistica degli anni ’50. Si tratta, infatti, di un’arte rivolta alla massa, e non più al singolo individuo, espressione di un intera società e del suo immaginario collettivo. Gli artisti dibattono sul problema della riproducibilità dell’arte nell’epoca industriale. Salvare l’unicità dell’opera d’arte o assecondare la realtà consumistica? Ciò che viene rappresentato sono gli oggetti quotidiani estrapolati dalla realtà quotidiana, sottratti al loro contesto e trasformati in “feticci”. Alla fine quindi, anche le opere non diventano altro che prodotti commerciali.
Sono i simboli della società consumistica a fare da base alla Pop art. La logica del consumo, lo spreco, i cambiamenti sociali, la forza dei mass media, ma anche la metropoli. La grande città moderna, scintillante e in continua crescita, piena di contraddizioni e scontri sociali; un palcoscenico in cui l’artista Pop denuncia l’ossessione contemporanea del consumismo ma al tempo stesso ne rimane imbrigliato.
Nonostante le caratteristiche comuni, i singoli esponenti hanno declinato il movimento attraverso tecniche e stili espressivi differenti. Alcuni come Andy Warhol e Roy Lichtenstein si abbandonano alla creazione meccanica, altri invece come Robert Rauschenberg e Jasper Johns si rifanno alla lezione delle diverse avanguardie del Novecento (Dadaismo, Happening e Performance in testa).
Andy Warhol: Flowers, Campbell Soup e Marilyn Monroe. La serigrafia e le immagini che hanno fatto il mito
L’attività artistica di Andy Warhol è stata intesa e frenetica, un po’ come la società dei consumi che la animava. Caposaldo della sua produzione pittorica, è stata la tecnica serigrafica, una modalità di stampa su tessuto nota già ai Fenici e diffusa in Europa dalla metà del ‘700.
Tra i suoi soggetti, immagini dei divi come Marilyn Monroe, Elizabeth Taylor, Brigitte Bardot, Marlon Brando e Elvis Presley. Uomini politici: Mao Zedong, Jimmy Carter e Che Guevara. La serie delle regine regnati con i ritratti di Elisabetta II del Regno Unito, Margherita II di Danimarca e Beatrice dei Paesi Bassi e ancora le opere raffiguranti l’Imperatrice consorte dell’Iran Farah Pahlavi.
Ma non solo celebrità, tra le opere di Warhol, infatti, un posto d’onore spetta sicuramente agli oggetti. Come le 32 Soup Campbell Cans, le serigrafie raffiguranti le bottiglie di Coca Cola, la banana sulla copertina del disco dei Velvet Underground. E ancora la serie dedicata alla banconota da un dollaro, i famosissimi e coloratissimi Flowers e le scatole di sapone Brillo. Semplici oggetti quotidiani, alla portata di tutti, trasformati in feticci della società dei consumi.
La ripetizione è la sua cifra stilistica. Su grandi tele Warhol riproduceva più volte, centinaia di volte addirittura, la stessa figura con colori vivaci e brillanti. La immagini spesso erano tratte dalle pubblicità, dai rotocalchi o da brutali fatti di cronaca come incidenti automobilistici, incendi e, addirittura, una sedia elettrica. Si tratta quindi di soggetti che portavano con se un significato precedente che l’artista riusciva ad abbattere grazie alla ripetizione quasi ossessiva dell’immagine stessa.
Una provocazione, dichiarata ed ostentata, che trasformava le sale di gallerie e musei in scaffali di supermercato, con centinaia di oggetti disposti in bell’ordine e pronti per essere acquistati. Dal suo punto di vista, infatti, l’arte doveva essere consumata come un qualsiasi altro prodotto commerciale. Lo stesso Andy Warhol ero solito dire che i prodotti di massa fossero una forma di democrazia sociale e come tali dovessero essere riconosciuti: “anche il più povero può bere la stessa Coca-Cola che beve Elizabeth Taylor”.
Tutte le curiosità su Andy Warhol che forse non sapevi
- Andrew Warhola. Passato alla storia con come Andy Warhol, in realtà l’artista si chiamava Andrew Warhola ed era figlio di due immigrati polacchi. Ultimo di quattro figli, Andy modificò il cognome per renderlo più “americano”.
- La data di nascita. Sulla data di nascita c’è stata spesso più di un’incomprensione. Di sicuro c’è che Warhol è nato Pittsburgh in Pennsylvania il 6 agosto 1928. Ma una voce vorrebbe che la nascita non sia stata registrata in ospedale. Ad alimentate questa confusione ha contribuito lo stesso artista che la cambiava spesso durante le interviste, divertendosi anche ad inventare storie strampalate sulla sua giovinezza.
- L’ipocondria. All’età di otto anni fu costretto a letto a causa della malattia di Huntington, una patologia nervosa che colpisce la coordinazione muscolare e porta a un declino cognitivo e a problemi psichiatrici. Da questa esperienza Warhol sviluppò un’avversione per medici ed ospedali, nonché una acutissima ipocondria. Ma la malattia ebbe anche un risvolto positivo: la madre infatti gli procurò, per svagarlo, carta e colori dando così il via alla sua incredibile vena artistica.
- “15 minuti di notorietà”. È risaputo che Andy Warhol abbia predetto la facilità con cui oggi tutti possono diventare famosi con la famosa frase “in futuro tutti saranno famosi per 15 minuti”. Ma in realtà potrebbe non essere andata così! La storia vuole che la frase sia stata composta, a fine anni ’60, per il catalogo di una mostra di Warhol in Svezia. In realtà però il fotografo Nat Finkelstein la rivendica come sua. Afferma infatti che una volta Andy Warhol gli disse che tutti volevano diventare famosi e lui rispose “si, per circa 15 minuti!”. Da qui l’artista avrebbe preso poi ispirazione.
“In futuro tutti saranno famosi per 15 minuti!” – Andy Warhol.
- L’ossessione per l’immagine. Warhol ha costruito attentamente il suo personaggio, trasformandosi negli anni in una vera e prima icona. Lo dimostra anche la cospicua serie di autoritratti che il Pop-artist si è concesso. Alcuni dei suoi tratti più distintivi, però, nascondevano qualche segreto. La parrucca per esempio, la criniera argentata che è stato il suo marchio di fabbrica, aveva semplicemente lo scopo di nascondere la sua calvizie. Allo stesso modo gli occhiali, opachi e con lenti forate, servivano ad allenare gli occhi pigri. Anche con l’abbigliamento (sempre in jeans, T-shirt e giacche di pelle, divenuto poi simbolo della moda underground) nascondeva in realtà un carattere timido ed impacciato.
- La passione per i profumi. L’artista aveva una vera e propria ossessione per le fragranze, tanto da arrivare ad avere una collezione di “Odori Permanenti”. Warhol, infatti, documentava e attivava i ricordi attraverso i profumi; un po’ come Proust con le madeleine. In oltre ogni tre mesi era solito cambiare profumo, un vezzo che non lo abbondò neppure dopo la morte. Un amico, infatti, durante il funerale depose un flacone di Estée Lauder Beautiful, dall’inteso aroma floreale, nella sua tomba.
- La “Factory”. Andy Warhol era solito lavorare (e vivere) in luoghi che chiama Factory. Laboratori aperti al pubblico, e ad altri artisti, all’interno dei quali si instaurava un continuo rapporto si scambio. La prima e più famosa fu quella al 1342 di Lexington Avenue, dove Warhol conviveva con 25 gatti siamesi tutti di chiamati Sam, tranne uno di nome Hester. Tutti gli spazi comunque erano organizzati allo stesso modo: privi di mobilio ma pieni di dischi, riviste, fotografie, quadri, giocattoli rotti, scatole dei super market e carte di caramelle (non a caso la made lo chiama Andy Candy). Non mancavano poi oggetti tecnologici di ogni tipo come televisori, registratori e radio che Warhol teneva sempre accessi.
- L’attentato. Il 3 giugno 1968 Valerie Solanas, scrittrice radicale e femminista americana, esplose diversi colpi di pistola contro Andy Warhol. Pare che l’artista avesse rifiutato una sceneggiatura che lei aveva scritto, dichiarato clinicamente morto alla fine si salvò.
Artista, regista,sceneggiatore e produttore. I mille volti di un uomo poliedrico
- Non solo pittura. Eclettico e curioso, nonostante Warhol sia sinonimo di Pop Art, l’artista durante la sua vita è stato anche un prolifico regista e sceneggiatore, produttore cinematografico e musicale e pubblicitario. Tra i suoi maggiori successi, posati colori e pennelli, ci sono oltre 50 cortometraggi e diverse produzioni musicali come quelle dei Velvet Underground e dell’italianissima Loredana Bertè. L’artista ha partecipato anche a numerose campagne pubblicitarie come quella del nuovo computer della Commodore nel 1985 e sull’edizione americana della rivista Vogue.
- Wild Raspberries. Sempre fedele alla sua stravaganza, nel 1959, Andy Warhol si cimentò nella stesura di un libro di cucina con l’amica decoratrice di interni Suzie Frankfurt. Wild Raspberries, questo il titolo, è una parodia dei più ricercati libri di cucina francesi. Tra le ricette proposte l’imperdibile Omelet Greta Garbo, l’Iguana Andalusa arrostita e il Gefilte un tipico antipasto della cucina ebraica. Il contributo di Warhol sta nelle 19 bellissime illustrazioni che corredano le ricette.
- Un fervente cattolico. Sebbene fosse dichiaratamente omosessuale Warhol era, al tempo stesso, anche un cattolico praticante. Svolgeva regolarmente attività di volontariato presso i rifugi per senzatetto e frequentava regolarmente la messa. Inoltre, nonostante abbia avuto diversi partner e avesse realizzato svariate opere erotiche con soggetti maschili, pare praticasse l’astinenza e che fosse vergine. La verità ovviamente non è dato saperla.
- Una morte prematura. Il 22 febbraio 1987, all’eta di 58 anni, Andy Warhol morì per le complicazioni di un intervento alla cistifellea. I funerali si svolsero a New York e la salma fu tumulata preso il St. John the Baptist Byzantine Catholic Cemetery a Bethel Park in Pennsylvania. Dopo la sua morte la fama e la quotazione delle opere crebbero al punto da rendere Andy Warhol il “secondo artista più comprato e venduto al mondo dopo Pablo Picasso“.
- Andy Warhol e l’Italia. Affascinato dall’arte antica l’artista realizzò una serie di opere che rivisitavano i grandi caporali della Storia dell’Arte; Paolo Uccello, Piero della Francesca e Leonardo Da Vinci sono alcuni dei prescelti. Tra le opere impossibile non ricordare Sixty Last Supper, una serie di serigrafie dedicate all’affresco di Leonardo, protagoniste di una mostra a Milano pochi mesi dopo la morte dell’artista. Un rapporto particolare, inoltre, Andy Warhol lo ebbe con la città di Napoli. Già chiamato nel 1980, da Lucio Amelio per realizzare l’opera Fate Presto, per la collezione Terraemotus (a seguito del terribile terremoto che colpì la Campania in quell’anno), Warhol realizzò anche una serie dal titolo Vesuvius, nel 1985, dedicata appunto al vulcano partenopeo.