In occasione dei cinquant’anni dalla scomparsa di Giuseppe Capogrossi (Roma, 7 marzo 1900 – 9 ottobre 1972), alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea una grande mostra dal titolo Capogrossi. Dietro le quinte.
Un’occasione per celebrare uno dei padri della pittura informale e dell’arte italiana del Novecento. L’esposizione curata di Francesca Romana Morelli è realizzata in collaborazione con la Fondazione Archivio Capogrossi e il sostegno di Ghella e UniCredit.
Capogrossi. Il segno nei musei e nelle istituzioni italiane, un programma di iniziative in occazione die 50 anni dalla scomparsa dell’artista
Dal 20 settembre al 6 novembre 2022, il progetto riporta a Roma l’opera dell’artista dopo oltre 20 anni; dando avvio alle iniziative in omaggio all’artista per questo anniversario nel contesto di un progetto articolato dal titolo Capogrossi. Il segno nei musei e nelle istituzioni italiane, su impulso del Presidente della Fondazione Guglielmo Capogrossi.
In mostra, una selezione di oltre trenta dipinti e una ventina di opere su carta provenienti dalle collezioni della Galleria Nazionale, dalla Fondazione Archivio Capogrossi e da collezioni private. Completano l’esposizione documenti d’archivio provenienti dai fondi documentari dell’artista conservati nell’Archivio della Galleria e presso la Fondazione, come ritratti fotografici di Capogrossi con personaggi di spicco dell’epoca, cataloghi di mostre, riviste, lettere e articoli di giornale, che ricostruiscono le relazioni intessute dall’artista.
Capogrossi, una mostra che ripercorre l’evoluzione creativa di uno dei padri della pittura informale
Come sottolinea la curatrice Francesca Romana Morelli “la mostra è un excursus che intende stabilire un serrato dialogo tra la prima stagione pittorica dell’artista, culminata nel periodo tonale, con la fase successiva, in cui le opere funzionano come le tessere di un puzzle, che una volta incastrate tra di loro, senza seguire un ordine cronologico, ma piuttosto assonanze nella struttura compositiva, rendono visibile l’autentica fisionomia saturnina dell’artista, che fin dagli anni trenta, filtra la sua pittura con una logica e un rigore mentale, mostrando di essere sempre in ascolto di sé stesso e in costante osservazione del mondo esterno, rimanendo fuori da rotte consolidate”.
Alla Biennale di Venezia del 1954 Capogrossi è presente con una memorabile sala personale: Giulio Carlo Argan, convinto che l’arte è un “atto della coscienza”, dopo avere visitato l’esposizione scrive in privato all’artista “Tra i pittori d’oggi tu sei uno dei pochi che si preoccupano assai più della forma che del quadro; e si rendono conto che, per salvare la prima, può essere necessario e mette comunque conto di sacrificare il secondo (…) Perciò io penso che la tua posizione, anche se qualcuno possa giudicarla ostinatamente appartata e astrattamente contemplativa , sia generosa ed umana.(…) Fa sempre piacere ritrovare nella pittura di un amico le sue più autentiche qualità morali; e di questo, non d’altro.”