Dal 5 ottobre al 4 febbraio 2024 il Piano Nobile di Palazzo Reale ospita la mostra Morandi 1890 – 1964. A distanza di più di trent’anni dall’ultima rassegna, Milano dedica una grande mostra a Giorgio Morandi per celebrare il rapporto elettivo tra la città e il pittore bolognese. Erano infatti lombardi o vivevano a Milano i primi grandi collezionisti di Morandi e milanese era la Galleria del Milione, con la quale il pittore intrattenne un rapporto privilegiato.
L’esposizione, tra le più importanti e complete retrospettive sul pittore bolognese degli ultimi decenni, idealmente è in continuità con quelle realizzate in prestigiose sedi internazionali. Dal Metropolitan Museum di New York nel 2008, al Pushkin di Mosca nel 2017 e al Guggenheim di Bilbao nel 2019.
Ideata e curata da Maria Cristina Bandera, promossa da Comune di Milano prodotta da Palazzo Reale, Civita Mostre e Musei e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE; la mostra è in collaborazione con Settore Musei Civici Bologna | Museo Morandi.
Morandi 1890-1964. 50 anni di ricerca tra confronto con i contemporanei e la modulazione di un linguaggio artistico unico e modernissimo
120 opere ripercorrono l’intera opera di Giorgio Morandi – cinquant’anni di attività, dal 1913 al 1963 – attraverso prestiti eccezionali da prestigiose collezioni private e importanti istituzioni pubbliche italiane e internazionali.
Il percorso espositivo segue un criterio cronologico documentando l’evoluzione stilistica e il modus operandi del pittore, nella variazione dei temi prescelti – natura morta, paesaggio, fiori e solo raramente figure – e delle tecniche – pittura, acquaforte e acquerello. A metà percorso, una suggestiva installazione video, realizzata in collaborazione con il Museo Morandi del Settore Musei Civici Bologna, ripropone al visitatore la camera-studio di Via Fondazza a Bologna, oggi museo, dove Morandi visse e lavorò fino ai suoi ultimi giorni, accompagnata da frammenti audio di un’incisiva radio-intervista al pittore di Peppino Mangravite, insegnante alla Columbia University (1955).
La mostra si apre con il 1913 e i capolavori d’avanguardia, una personale assimilazione della nuova spazialità cubista lungo la traiettoria Giotto-Cézanne; e si conclude nel 1963, con una pittura rarefatta e portata all’estremo della verosimiglianza formale, sintesi di uno scavo cinquantennale nella realtà secondo il celebre postulato morandiano: “ritengo che non vi sia nulla di più surreale, nulla di più astratto del reale”. L’intera esperienza morandiana si muove infatti tra questi due poli: un confronto precoce con le novità artistiche internazionali e la formulazione di un linguaggio capace ancora oggi di tradurre le inquietudini della modernità.
Era sua convinzione – dichiarava nel 1955 – che “le immagini e i sentimenti suscitati dal mondo visibile, che è un mondo formale”, siano “inesprimibili a parole”. Il compito dell’arte – proseguiva quasi come vaticinio per le nuove generazioni – è quello di “far cadere quei diaframmi”, “quelle immagini convenzionali” che si frappongono tra l’artista e la realtà.
Il suo universo simbolico costituito da oggetti tra i più comuni, scelti per la loro immutabilità, immunizzati dalla realtà e sospesi della loro funzione, già preparati da una sorta di “prima pittura” con la polvere posata dal tempo o l’aggiunta di velature pittoriche, è pretesto per “far cadere” quel diaframma, per disvelare ciò che della realtà è astratto. Anche i motivi dei suoi paesaggi, o “paesi”, come preferiva chiamarli, erano sempre desunti dalla realtà visibile: “Lavoro costantemente dal vero” (Morandi 1929-1930).
Uno scavo profondo dentro la realtà con la variazione di temi ripresi lungo tutta una vita: “penso di essere riuscito a evitare questo pericolo [di ripetermi] – dichiarerà nel 1960 – dedicando più tempo a progettare ciascuno dei miei dipinti come una variazione sull’uno o l’altro di questi pochi temi”.