La mostra “Bianco o nero – Opere dalla Collezione 1935-2021” propone una prospettiva inedita su un nucleo di opere selezionate dalla Collezione MASI e offre al pubblico l’occasione di conoscere lavori mai presentati prima, o raramente esposti.
In un percorso multi-tematico, articolato in cinque sezioni, l’esposizione mette in dialogo opere di pittura, scultura, fotografia, arte cinetica e concettuale dagli anni Trenta ai giorni nostri. Dalle voci più forti dell’arte italiana del secondo dopoguerra al ready made dell’arte concettuale, dalla pop art fino alla scultura iperrealista dell’inizio del nuovo millennio, la mostra tocca, attraverso una ristretta, ma attenta selezione, diversi focus della collezione del MASI. Dagli accostamenti tra i lavori – giocati sul filo della suggestione visiva e concettuale del bianco o nero – nascono inoltre molteplici e inaspettate possibilità di lettura.
“Se la sensazione visiva che produce il colore nero è spesso associata alla notte, alla malinconia e al mistero, il colore bianco, percepito come il più luminoso, limpido e immacolato, rappresenta la somma dei sette colori dell’iride e riflette tutte le radiazioni della luce solare senza assorbirne alcuna. Il bianco e il nero, se affiancati, hanno così la capacità di dare vita a composizioni tanto contrastanti quanto armoniose” spiegano le curatrici della mostra, Cristina Sonderegger e Francesca Rosi.
Ed è una tensione tra elementi contrastanti come la forza compressa, la rabbia e la delicatezza quella racchiusa nell’opera Up in Arms di Monica Bonvicini. Temi su cui Bonvicini lavora da tempo quali l’ambiguità del linguaggio, l’esercizio del controllo e del potere e il rapporto tra genere e femminismo prendono forma in una scultura realizzata in un materiale fragile quanto convenzionale come il vetro di Murano. Come un gioco di parole visivo, l’artista riproduce infatti le sue stesse braccia tese, un segno d’appello alla resistenza e alla protesta.
Il tentativo di sovvertire le convenzioni artistiche ed evocare riflessioni sulla transitorietà della vita sono al centro di Verstummelung 71/6 di Ingeborg Lüscher. Nell’installazione, esposta per la prima volta dopo la sua donazione e il restauro, mozziconi di sigaretta sono applicati su un completo di mantello e stivali. I mozziconi, che assumono un aspetto ogni volta diverso in base al temperamento del fumatore o della fumatrice, colgono un momento della vita di chi li ha fumati facendosi traccia di un ciclo esistenziale che fluisce nella sigaretta, attraverso il respiro.
È un’esplorazione inquietante e silenziosa nell’interiorità quella messa in atto da Andrea Gabutti nella sua opera “Senza titolo”, in cui rappresenta una delle aree più profonde del corpo: il pensiero. La continua ripetizione del motivo del cervello in paraffina bianca, isolato nel vuoto del supporto, anch’esso di colore bianco, testimonia una ricerca identitaria e una libertà di indagine che sfugge a qualsiasi categorizzazione.
Il corpo di un rettile o di un animale invertebrato, un profilo collinare, un oggetto d’uso arcaico o, ancora, un uccello in volo: queste e molte altre ancora le associazioni che emergono di fronte alla scura forma curvilinea dell’artista statunitense Robert Therrien, celebre per le sue monumentali sculture immersive. L’opera esposta al MASI, si distingue per il suo carattere metaforico e contemplativo e incoraggia lo spettatore a riconsiderare la propria percezione dello spazio.
Le dimensioni dello spazio e del tempo sembrano invece congiungersi in un’enigmatica visione sospesa nell’opera Prima o poi di Giulio Paolini. L’installazione è composta da un allineamento di riquadri bianchi e neri dello stesso formato ed è pensata per essere di volta in volta diversa a seconda del luogo in cui è esposta. Nel combinare pieni e vuoti, inquadrature vere e virtuali, l’opera cristallizza un momento tra un prima e un dopo intangibili.
Riporta ai temi del memento mori, dell’horror vacui e della vanitas la candida scultura in ceramica Ossobello del duo Bertozzi & Casoni: un assemblaggio di quelli che appaiono come resti, scintillanti frammenti di apparati scheletrici umani e animali. Come un abbraccio al fascino e mistero presenti anche nella condizione più drammatica dell’esistenza, l’opera guarda alla caducità della vita, e al contempo sembra voler esorcizzare con ironia il pensiero della morte.
Le opere esposte sono di proprietà della Città di Lugano, del Cantone Ticino e della Fondazione MASI; alcune appartengono all’Associazione ProMuseo, altre derivano da donazioni private – come le donazioni Panza di Biumo e Giancarlo e Danna Olgiati – o degli artisti stessi.
Accompagnano l’esposizione degli approfondimenti sulle singole opere, accessibili al pubblico tramite smartphone attraverso la scansione di appositi codici QR.
Artiste e artisti in mostra: Roger Ackling, Fiorenza Bassetti, Ford Beckman, Bertozzi & Casoni, Monica Bonvicini, Fernando Bordoni, Gianfredo Camesi, Gianni Caravaggio, Gianni Colombo, Alberto Flammer, Lucio Fontana, Andrea Gabutti, Ingeborg Lüscher, Fausto Melotti, Giulio Paolini, Robert Therrien, Margherita Turewicz-Lafranchi.