Giuditta di Gustav Klimt: tutto quello che c’è da sapere sull’opera

Copertina: Gustav Klimt, Public domain, via Wikimedia Commons

La Giuditta è un’opera d’arte che ha fatto la storia. Realizzata dal pittore austriaco Gustav Klimt ne esistono in realtà due versioni in stile Secessione. La prima è la Giuditta I realizzata nel 1901 e oggi visibile al Österreichische Galerie Belvedere a Vienna. La seconda, invece, venne realizzata otto anni dopo rispetto alla prima, nel 1909 ed è conservata alla Galleria internazionale d’arte moderna di Venezia. Ecco qui tutto quello che c’è da sapere sulla Giuditta di Gustav Klimt.

Giuditta di Gustav Klimt analisi

La Giuditta è una figura femminile che fa riferimenti agli testi dell’Antico Testamento. Qui la donna incarna i panni di una giovane eroina ebrea che, per salvare la città di Betulla, sua terra di origine, dall’assedio degli Assiri, sedusse il generale nemico Oloferne. Una volta conquistato Giuditta fece ubriacare Oloferne per poi ucciderlo tagliandogli la testa.

La Giuditta raffigurata nelle opere è ispirata, in realtà, a una donna reale che venne spesso utilizzata come modella, e c’è chi dice che fu anche l’amante, di Klimt. Si tratta di Adele Bloch-Bauer, nobildonna della borghesia viennese, che venne raffigurata anche in Goldene Adele, ad Adele Bloch-Bauer II

Il significato delle due versioni della Giuditta di Gustav Klimt, secondo diverse analisi, è sempre lo stesso della storia. L’eroina, a volte femme fatal, a volte carnefice, con la testa di Oloferne appena sconfitto. La donna diventa così il vero simbolo della seduzione e della forza femminile.

«Il volto di Giuditta possiede una carica di seduzione. I suoi lineamenti sono trasfigurati al fine di raggiungere il massimo grado di intensità, che Klimt ottiene respingendo la donna in una dimensione irraggiungibile.» scrisse il critico d’arte Federico Zeri.

La figura femminile è uno dei soggetti principali dell’artista che, nel corso degli anni e delle sue opere ha sempre cercato di esplorare e indagare a fondo. Il pittore non amava solo rappresentarle, ma amava proprio la loro bellezza che era eterna e, soprattutto, uguale a prescindere dal ceto sociale, un dettaglio che, infatti, non emerge mai dalle sue opere.

Giuditta I di Gustav Klimt

Giuditta di Guastav Klimt
Gustav Klimt, Public domain, via Wikimedia Commons

La prima versione della Giuditta di Gustav Klimt è un’anticipazione del suo periodo aureo durante il quale l’utilizzo del colore oro diventa davvero predominante. Una tendenza che nacque dopo il suo viaggio in Italia e, in particolare, a Ravenna dove ebbe modo di ammirare i mosaici bizantini dell’ultima capitale dell’Impero romano d’Occidente.

La donna è qui rappresentata all’interno di una cornice di legno scabro, realizzata dallo stesso fratello dell’artista. La Giuditta I di Gustav Klimt viene rappresentata verticalmente come una donna moderna con il focus particolarmente accentuato sulla sua figura che ne domina quasi l’intero dipinto. Fanno eccezione però due dettagli: la testa di Oloferne che appare appena appena in basso a destra e il paesaggio arcaico e stilizzato che spunta alle spalle di Giuditta.

Lo sguardo della donna è attento e fisso verso lo spettatore ma, a colpire è il gioco di dimensioni. Se il corpo di lei ha una resa tridimensionale, le vesti, invece sembrano bidimensionali. In questa versione la donna è rappresentata seminuda, dettaglio piuttosto comune, ma con acconciature, vesti e gioielli del periodo.

Nella prima versione la Giuditta è rappresentata come femme fatal più che come carnefice.

«Questa Giuditta è una bella jourdame ebrea… che non perde l’occasione per sedurre lo sguardo degli uomini. Una donna sottile e flessuosa con occhi scuri dallo sguardo di fuoco, con una bocca crudele… In questa donna affascinante, sembrano sopite enigmatiche forze, energie, impulsi che non potrebbero essere placati, una volta che ciò che è costretto a rimanere borghesemente assopito, dovesse davvero prendere fuoco.. Meravigliosamente dipinto è il corpo di questa Giuditta, questo corpo mascolino, quasi scarno, che sembra distendersi e allungarsi.» Felix Salten

Giuditta II di Gustav Klimt

Giuditta di Gustav Klimt
Gustav Klimt, Public domain, via Wikimedia Commons

Gli otto anni trascorsi tra un dipinto e l’altro sono decisamente visibili quando si va ad analizzare la Giuditta II di Gustav Klimt.

In quest’opera la donna, seppure sempre in forma verticale, viene rappresentata in tutta la sua interezza e non più solo fino alla vita come nella prima versione. Una scelta che porta lo sguardo e il pensiero di chi ammira l’opera fino al bordo dell’immagine e anche oltre. La gonna tagliata nella parte finale infatti fa quasi sembrare che il corpo della donna continui ancora verso il basso.

Lo slancio verticale sproporzionato, invece, è come una firma per Klimt che spesso utilizzava questa tecnica pittorica per dare monumentalità ai suoi soggetti femminili. Anche in quest’opera è presente la testa di Oloferne sempre tagliata a metà seppur orizzontalmente in questo caso, quasi come se fosse nascosta dalle vesti della donna.

Se nella prima la Giuditta appare più come femme fatal, qui, invece, traspare il lato maligno, da carnefice. Anche in questo caso gli abiti e i gioielli sono alla moda per il periodo ma, a differenza della prima versione, qui servono per marcarne il carattere più che da ornamento. Non a caso i colori scelti sono cupi.

Infine, se nella prima versione la donna era ferma intenta a osservare lo spettatore, qui la suona figura sinuosa sembra quasi pronta a muoversi o meglio strisciare via come un serpente verso la sua tana con la preda appena catturata.