Fondazione Prada presenta un’ampia retrospettiva dedicata all’artista italiano Pino Pascali in mostra nella sede milanese di Largo Isarco fino al 23 settembre 2024. A cura di Mark Godfrey, la mostra si divide in quattro sezioni, ciascuna delle quali propone una precisa prospettiva sulla produzione di Pascali, e si sviluppa in tre edifici della sede di Milano: il Podium, la galleria Nord e la galleria Sud.
L’esposizione raccoglie quarantanove opere di Pino Pascali provenienti da musei italiani e internazionali e da prestigiose collezioni private; nove lavori di artisti del secondo dopoguerra; una selezione di fotografie e un video che ritraggono l’artista con le sue opere.
La brevissima e rivoluzionaria carriera artistica di Pino Pascali in mostra da Fondazione Prada
Nato a Bari nel 1935, Pino Pascali si trasferisce a Roma nel 1955 per studiare scenografia presso l’Accademia di Belle Arti. Lavora come aiuto scenografo in diverse produzioni televisive Rai e collabora come designer e scenografo per il cinema e per alcune agenzie pubblicitarie. Nel 1965 tiene la sua prima mostra personale alla Galleria La Tartaruga di Roma. Nel 1968 muore tragicamente in un incidente in moto all’età di trentadue anni, nello stesso anno della sua presentazione monografica alla Biennale d’Arte di Venezia.
Nonostante la breve carriera, Pino Pascali ha contribuito in modo significativo agli sviluppi della scena artistica italiana e internazionale del secondo dopoguerra. La mostra approfondisce il carattere innovativo della sua opera, specialmente in relazione alla produzione scultorea, che negli ultimi cinquant’anni ha avuto un impatto fondamentale su diverse generazioni di artisti e critici e continua ad attirare l’attenzione del pubblico internazionale.
Pino Pascali. Un artista che ha esplorato le potenzialità di una scultura “finta” o “simulata” con opere che sembrano dei ready-made ma realizzate con materiali di recupero
Come scrive Mark Godfrey nel testo pubblicato in catalogo, “Pascali ha esplorato il rapporto tra scultura ed elementi di scena e ha contrapposto scultura e oggetti d’uso. Ha creato opere che da lontano sembrano dei ready-made, ma che a uno sguardo ravvicinato si rivelano essere realizzate con materiali di recupero. Si interrogava sulle potenzialità di una scultura ‘finta’ o ‘simulata’. Intitolava le opere come fossero corpi solidi, strizzando l’occhio al suo pubblico, a sua volta consapevole che si trattava di volumi vuoti. Usava elementi naturali come la terra e l’acqua insieme a materiali da costruzione come l’eternit, e divideva i suoi mari e campi in unità modulari. Portava in studio nuovi prodotti di consumo e tessuti sintetici per creare animali, trappole e ponti. E se la complessità del suo approccio alla scultura è indiscutibile, il fattore che rende la sua pratica artistica così geniale e originale è un altro. Pascali è un artista sempre attuale perché era un ‘esibizionista’. […] Pascali comprendeva che gli artisti del dopoguerra dovevano dedicare altrettante energie all’attività espositiva quante quelle dedicate a rifinire le opere in studio”.
Essere un esibizionista significava “innanzitutto creare con le proprie opere ambienti coinvolgenti seppur temporanei, ambienti che fossero più della somma delle loro parti”. In secondo luogo, “l’esibizionista doveva procurarsi quante più occasioni espositive possibili e poi assumerne il controllo”. Terzo, “l’esibizionista riconosceva l’importanza di avere immagini della mostra prima e dopo l’allestimento”. Quarto, “l’esibizionista doveva infondere nuova linfa alla sua opera per ogni mostra, e soprattutto doveva cambiare radicalmente l’approccio alla realizzazione di ogni progetto espositivo”. Tutti questi elementi sono rintracciabili nella folgorante carriera di Pascali.