Quando si parla di Amore e Psiche, si intende il conflitto interiore a una singola persona, quello per cui la ragione e i sentimenti entrano in conflitto, spesso non trovando un accordo, e lasciando questa “anima in pena” in balia di decisioni difficili: seguire il cuore o la ragione? È un problema senza tempo. Ma quella di Amore e Psiche è una love story ben diversa, una leggenda d’amore nata chissà quando, che affonda le sue radici nella mitologia greca e latina.
A trascriverla, dandole una forma quasi definitiva, fu Apuleio, il filoso, sacerdote, mago e scrittore vissuto nel Secondo Secolo dopo Cristo, nelle sue Metamorfosi (cha a volte sono state pubblicate anche con il titolo L’asino d’oro). Successivamente, la leggenda di Amore e Psiche è stata ripresa da altri autori che, come spesso accade in questi casi, ne hanno riportato diverse varianti, ma nessuna significativa.
La storia di Amore e Psiche
Quella fra Amore e Psiche è una delle love story più tormentate della mitologia. Densa di significati metaforici che Apuleio volle imprimere nel racconto, come i filosofi antichi erano soliti fare.
Psiche era la più giovane di tre sorelle, ammirata da tutti per la sua incredibile bellezza. Le sue due sorelle maggiori erano invidiose perché, sebbene piene di virtù, non ricevevano tutte le attenzioni che la gente regalava a Psiche. Presero così a dire in giro che la sorella era bella come Afrodite (o Venere, a seconda delle traduzioni). La voce giunse alle orecchie della dea la quale, infastidita, ordinò a suo figlio Eros (o Cupido, detto anche Amore) di recarsi da Psiche per farla innamorare dall’uomo più brutto e taccagno della Terra, in modo da condannarla alla pubblica derisione.
Eros si recò da Psiche, ma una volta che i suoi occhi si posarono sulla fanciulla, la bellezza della giovane lo turbò, e lo confuse a tal punto che il dio dell’amore commise un errore e si trafisse un piede con una delle sue frecce. A quel punto si innamorò perdutamente di Psiche. Nel frattempo i genitori della ragazza, che erano sovrani, consultarono un oracolo che non diede un responso positivo: “Come a nozze di morte vesti la tua fanciulla ed esponila, o re, su un’alta cima brulla. Non aspettarti un genero da umana stirpe nato, ma un feroce, terribile, malvagio drago alato che volando per l’aria ogni cosa funesta e col ferro e col fuoco ogni essere molesta. Giove stesso lo teme, treman gli dei di lui, orrore ne hanno i fiumi d’Averno e i regni bui”.
I genitori di Psiche, obbedienti, trasportarono la ragazza su una rupe e lì la abbandonarono. Eros però la salvò e la condusse nel suo palazzo, all’insaputa di Venere. Ogni sera, con il volto coperto e la complicità del buio, Amore si recava presso le stanze di Psiche e i due vivevano momenti di lunga e intensa passione. La ragazza accettò il compromesso di non guardare mai l’amato sul volto, perché questo amore le nutriva l’anima (psychì, in greco, significa proprio anima). Eros, infatti, non avrebbe potuto vivere un amore mortale, e teneva questa relazione per sé.
Psiche, invece, ne parlò con le sue sorelle, che sempre più invidiose, ora anche della felicità della bella giovane, instillarono in lei il sospetto. Quella notte Psiche illuminò il volto dell’amato con una lampada ad olio. Una goccia cadde sul bel volto di Amore, ustionandolo. Addolorato più per la fiducia tradita che per la bruciatura, Eros voltò le spalle a Psiche e se ne andò abbandonandola. Psiche restò straziata dal dolore, tanto da tentare più volte il suicido, ma gli dei le impedirono sempre di togliersi la vita.
Le quattro prove per Psiche
Psiche, consunta dal rimpianto, prese a vagare cercando di fare del bene e servendo ogni tempio dedicato a ciascuna divinità. Giunta al tempio di Venere, si consegnò a lei, implorandole il perdono. La ragazza sperava così di placare l’ira della dea, causata dal disonore che aveva portato al figlio. Venere, non paga delle sofferenze che Psiche stava già vivendo, decise di sottoporla a delle prove impossibili. Per prima cosa le consegnò delle granaglie, chiedendole di dividerle in tanti mucchietti tutti uguali. Psiche stava per arrendersi senza provare, quando delle formiche le vennero in aiuto.
Come seconda prova, Venere le chiese di raccogliere la lana di un particolare gregge di pecore, il cui vello era d’oro. Questo secondo compito parve molto più semplice a Psiche, che subito si avvicinò al gregge. Una canna verde però la fermò, spiegandole che quelle pecore diventavano molto aggressive alla luce del sole. Psiche allora attese il tramonto e poi raccolse con pazienza la lana d’oro rimasta impigliata tra i cespugli del pascolo, e la consegnò a una esterrefatta Venere. La dea allora le intimò di raccogliere l’acqua di una sorgente che si trovava in cima a una rupe liscia e scoscesa, impossibile da scalare. Psiche, sempre più disperata, stava per rinunciare, quando sopraggiunse l’aquila di Giove, che voleva entrare nelle grazie di Cupido, e la trasportò fino in cima.
Molte creature volevano aiutare Amore e Psiche a ritrovarsi, quindi per l’ultima prova Venere ne scelse una che Psiche avrebbe dovuto affrontare da sola. La ragazza sarebbe dovuta scendere negli Inferi e chiedere a Proserpina un po’ della sua bellezza. Questa volta Psiche fallì: sulla via del ritorno, presa nuovamente dalla curiosità, aprì l’ampolla consegnatale da Proserpina e cadde in un sonno profondissimo.
Amore tornò finalmente dalla sua amata, ma si disperò perché non c’era modo di svegliarla. Chiese allora aiuto a suo padre Giove che, mosso a compassione, risvegliò la ragazza con dell’ambrosia, che la trasformò in una dea. I due giovani poterono finalmente sposarsi e dalla loro unione nacque una bellissima figlia che chiamarono Voluttà, ovvero piacere.
Amore e Psiche: la statua del Canova
Al Louvre è conservato il bellissimo gruppo scultoreo di Antonio Canova che si chiama, per esteso Amore e Psiche che si abbracciano: momento di azione cavato dalla favola dell’Asino d’oro di Apuleio, che fu commissionato dal colonnello John Campbell all’artista nel 1788. Quando l’opera fu terminata, cinque anni dopo, ci furono le solite critiche che accusarono il Canova di essere troppo manierista, ma per lo più la resa di uno dei momenti più lirici de L’asino d’oro fece sì che la fama dello scultore echeggiasse ancora di più in Europa. I visitatori al suo studio divennero talmente tanti, che egli dovette prenderne un altro per lavorare in pace. Il delicato e leggiadro erotismo delle statue incantò anche altri artisti, tra cui John Keats, che compose la sua Ode to Psyche nel 1819.
Campbell non era più in grado di sostenere le spese per il trasporto, quindi il gruppo marmoreo fu acquistato dapprima da Gioacchino Murat per poi passare, nel 1808, tra le proprietà della corona francese. Amore e Psiche fu trasportata al museo del Louvre dove tutt’ora si trova. Caterina II di Russia si innamorò a tal punto di questa scultura leggiadra (la cui visione frontale è la migliore dal punto di vista puramente ortogonale, ma che nel retro rivela particolari della storia quali la chioma di Psiche e il vaso di Proserpina) che ne pretese una replica dal restio Canova. Attualmente si trova presso il museo dell’Ermitage di San Pietroburgo.
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