Il Museo Morandi di Bologna si unisce agli auguri per i cento anni che il grande artista Wayne Thiebaud compirà domenica 15 novembre. Nato nel 1920 a Mesa, in Arizona, Thiebaud è considerato una figura chiave nell’ambito dell’arte contemporanea americana e non solo: suoi lavori sono esposti nelle collezioni di importanti musei come il MoMA e il Whitney Museum of American Art di New York, il San Francisco Museum of Modern Art e l’Art Institute di Chicago.
Nel 2011 il Museo Morandi ne ha ospitato la personale Wayne Thiebaud at Museo Morandi curata da Alessia Masi con la collaborazione di Carla Crawford, facendo dialogare i suoi lavori con quelli di Giorgio Morandi. A seguito della mostra l’artista ha generosamente donato al museo e alla città di Bologna 8 opere, tra cui lo straordinario dipinto Tulip Sundae del 2010.
Frequentemente associato alla Pop Art, Thiebaud ha però sempre rifiutato di essere inscritto in un movimento artistico, proprio come Morandi. Se ad avvicinarlo apparentemente agli artisti Pop è la scelta dei soggetti dipinti – oggetti simbolo del consumismo quali dolci, caramelle, chewing gum, hot dog, cosmetici, giocattoli – a differenziarlo dai cliché spersonalizzanti e meccanici propri della pittura Pop sono l’assenza di critica così come di celebrazione della cultura americana, la ricerca nella tecnica pittorica, la pennellata lenta, pastosa e materica, l’uso della luce modulata e discreta, l’accurata attenzione verso l’impianto prospettico e gli aspetti formali e geometrici della composizione attraverso i quali fa emergere l’anima degli oggetti. È in particolare questa attenzione verso la disciplina della pittura – parlando di sé si è sempre autodefinito “pittore” più che artista – ad accomunare Thiebaud a Giorgio Morandi e ad altri modelli di riferimento quali Jean-Baptiste-Siméon Chardin ed Edward Hopper.
Il generoso omaggio di Wayne Thiebaud al Museo Morandi testimonia la sua ammirazione verso il grande pittore bolognese. Una ammirazione già dichiarata pubblicamente in una celebre intervista pubblicata sul New York Times nel 1981 e testimoniata nell’intervista pubblicata in occasione della mostra bolognese del 2011 di cui riportiamo uno stralcio:
“Ci sono tante lezioni da imparare studiando il lavoro di Morandi. Cose che hanno a che fare con questioni delle quali, secondo me, ogni serio pittore dovrebbe avere consapevolezza. Una di queste penso sia la meraviglia dell’intimità e l’amore per lo sguardo prolungato: fissare a lungo ma nello stesso tempo muovere l’occhio per scoprire veramente cosa c’è dietro; e poi ci sono così tante sottigliezze, elementi che possono sembrare una cosa in un momento e un’altra il momento dopo. C’è sempre, in Morandi, quella sensazione di “instabilità”, e nonostante questo un sentimento di totalità dolce, completo. È sempre una gioia poter guardare il suo lavoro, che per noi pittori contiene anche un avvertimento: ci mette in guardia contro la tentazione di eccedere, strafare. Va bene il dramma, ma non il melodramma. Sì, si possono davvero imparare tante cose da lui”.