La
Fondazione Mudima di
Milano, dal 07 giugno al 06 luglio, ospiterà
Portrait for Human Presence la più ampia mostra italiana di
David Kim Whittaker degli ultimi quindici anni.
Inglese, classe 1964, David Kim Whittaker costruisce la maggior parte dei suoi quadri attorno ad un’interpretazione della testa umana e del suo nucleo metafisico. Si tratta di ritratti ambigui, che sembrano non specifici, con lo scopo dichiarato di rappresentare l’universale accanto al personale.
Ritratti umani del ventunesimo secolo utopici e dispotici
Le
opere spesso si destreggiano tra
duplici stati di calma e conflitto sia interiori che esteriori, offrendo uno sguardo sulla forza e la fragilità, il conscio e il subconscio, il maschile e il femminile. Sulla piatta superficie del dipinto,
le dimensioni interne ed esterne si mescolano, così come il paesaggio e il ritratto. Gli altri e l’io si incontrano scambiandosi l’identità e punti di vista momentanei e definitivi.
Sono essenzialmente ritratti umani del ventunesimo secolo che possono essere letti come utopici e distopici. Tali stati conflittuali, chiaramente identificabili nelle opere, sono probabilmente rinforzati dalla disforia di genere di David Kim Whittaker, un’intensa esperienza in cui il corpo fisico non si accorda con la propria identità profonda e dalla sua personale battaglia con una condizione con la quale lui/lei ha imparato a convivere attraverso lo sforzo di esprimere qualcosa di più grande di sé nella pittura.
Portrait for Human Presence: il lavoro di David Kim Whittaker a Milano
Portrait for Human Presence mette in mostra i nuovi lavori dell’artista inglese presso la Fondazione Mudima, che rappresenta la sua prima importante mostra in Italia da oltre 15 anni. Offre una visione d’insieme di una serie di temi chiave che figurano nel pantheon dell’immaginario dell’artista.
Journeys of Hope and Despair illustra un esodo, in cui la speranza è sostenuta e la salvezza ricercata nel viaggio da Damasco. Le monumentali opere del trittico Perpetual Sin illustrano invece l’umanità in conflitto, il nostro primordiale istinto di fare a pezzi e distruggere, dove il potere e l’avidità gettano lunghe ombre, il sacro è sacrificato e il divino perduto.
E infine The Feminine Oppressed una piccola serie di opere che ci invitano a pensare che i bambini e le bambine non sono sempre nati uguali, secondo il luogo in cui hanno origine.