La Basilica di San Celso a Milano ospita, dal 23 ottobre al 19 novembre 2020, Ad integrum, mostra personale dello scultore montecchiese Michelangelo Galliani, a cura di Angela Madesani. Promossa dalla galleria Cris Contini Contemporary ed organizzata dall’associazione culturale lartquotidien in collaborazione con il Santuario di Santa Maria dei Miracoli presso San Celso, l’esposizione sarà inaugurata giovedì 22 ottobre alle ore 18.00, alla presenza dell’artista e della curatrice.
Il titolo della mostra – Ad integrum – allude alla forza del frammento, elemento poetico ed evocativo che, come sineddoche di umanità perduta, della parte per il tutto, riesce a significare l’unità. Il percorso espositivo comprende quattro sculture di grandi dimensioni, tra cui l’opera inedita Twins (2020), in marmo bianco di Carrara, che ritrae una bambina seduta sul dorso di una testuggine, alludendo al più famoso paradosso di Zenone di Elea (Achille e la Tartaruga) e alla frammentazione del tempo. Nascono, invece, come frammenti di corpi le opere intitolate Fuggi (2018) e Rebus vitae(2018), realizzate rispettivamente in marmo dell’Altissimo e marmo statuario di Carrara. Nei pressi dell’altare della basilica, un tempo sepolcro del martire al quale essa è dedicata, trova infine collocazione la scultura in cera vergine d’api intitolata Col tempo (2010): un’opera che raffigura una donna esanime distesa su un letto di piombo, la cui postura richiama la Santa Lucia del Caravaggio, con l’aggiunta di un ex voto ottocentesco a forma di cuore. Ad accomunare le opere in mostra è anche il tema del tempo che, con il suo passaggio, lascia dietro di sé frammenti di storia e di memoria, in cui si esplica la poesia della vita e il suo fluire senza sosta.
«L’opera di Michelangelo Galliani – scrive Angela Madesani – è l’esito di un processo e non certo la tappa di un’evoluzione. È il tentativo, riuscito, di fare un lavoro contemporaneo con un materiale, il marmo, della tradizione, con il quale ha sin dall’inizio un rapporto viscerale. Negli anni Novanta, quando l’artista ha iniziato a lavorare il marmo, a differenza di oggi, veniva considerato superato, troppo legato alla tradizione, desueto, utilizzato solo da taluni virtuosi e non dagli artisti di riferimento del sistema. La sua, come quella di altri artisti della sua generazione, non è stata una scelta prevedibile, facile, accettata, anzi, è costata fatica, determinazione, prese di posizione. Nonostante questa difficoltà, che oggi non è più tale, è importante sottolineare che la materia, il marmo è e resta un mezzo e non il fine del suo operare. Una materia funzionale al senso del lavoro, così come il piombo, la cera, l’acciaio specchiante»